Giulio Perticari

Giulio Perticari

Giulio Perticari (1779, Savignano sul Rubicone (FC) – 1822, San Costanzo). Poeta e letterato di alto lignaggio, genero di Vincenzo Monti, con il quale si batté per la questione della lingua italiana. Ha lasciato un’impronta indelebile nella comunità di Sant’Angelo in Lizzola, ove trascorse lunghi periodi nella sua residenza estiva.

 

La famiglia Perticari giunse a Sant’Angelo in Lizzola nella seconda metà del 1700, in seguito al matrimonio tra il bisnonno dell’omonimo Giulio e Angiola Lapi, discendente di una ricca e facoltosa famiglia di possidenti del luogo. 

 

Giulio ebbe la sua formazione alla fine 1700, presso il collegio San Carlo a Fano. Fondò a Savignano sul Rubicone l’Accademia dei Filopatridi, di cui fu presidente con il nome di Alceo Compitano e, subito dopo, partì per Roma dove studiò diritto, matematica e greco. 

 

La morte del padre Andrea, nel 1804, lo costrinse a tornare a Pesaro, dove fece parte dell’amministrazione cittadina; a Savignano per due anni fu podestà e a Sant’Angelo, nello stesso periodo, venne nominato consigliere comunale, poi gonfaloniere.

 

Ebbe una relazione clandestina con Teresa Ranzi, figlia di una domestica di casa Perticari, dal 1809 al 1811, con la quale convisse nella villa di campagna a Sant’Angelo in Lizzola e che gli diede un figlio, Andrea, di cui lui non riconobbe mai la paternità, ma che s’impegnò a mantenere economicamente. Pochi mesi dopo, iniziarono le estenuanti trattative sulla cospicua dote, pretesa dalla famiglia del conte Giulio, per il matrimonio con la figlia dell’insigne letterato Vincenzo Monti.

 

Nel 1812, convolò a nozze con Costanza Monti e nacque l’unico figlio della coppia, Andrea, che visse solo pochi giorni e, alcuni anni dopo, la moglie apprese dell’esistenza di un figlio illegittimo. Pur segnato da profonde incomprensioni, il matrimonio aprì la casa dei Perticari a importanti frequentazioni, stimolando Giulio alla scrittura. Dal 1814, egli curò a lungo l’edizione del Dittamondo di Fazio degli Uberti, ove lavorò anche per l’intera estate del 1815, nella quiete della sua casa a Sant’Angelo in Lizzola.

 

Con la caduta del governo napoleonico, Perticari frequentò Guglielmo Pepe e ospitò Gioacchino Murat nella sua villa a Savignano. 

 

Difese strenuamente le idee del suocero, Vincenzo Monti, verso un progressivo arricchimento lessicale, in contrapposizione al rigoroso ritorno alla lingua trecentesca propugnato dai puristi e dalla Crusca. Dall’assidua collaborazione con Monti nacque la Proposta di alcune correzioni e aggiunte al Vocabolario della Crusca.

 

S’impegnò anche nella ricostruzione del Teatro del Sole a Pesaro (1816-1818, chiamato Teatro Nuovo, poi Teatro Rossini) nel cui sipario, realizzato a Milano da Angelo Monticelli, sono rappresentati intorno alla fonte di Ippocrene, Vincenzo Monti, Ippolito Pindemonte, Paolo Costa, Giulio Perticari e Costanza, intenta a suonare la cetra. L’inaugurazione del teatro ebbe luogo con la Gazza ladra di Rossini il 10 giugno 1818, presente lo stesso musicista, ospite dei Perticari. 

 

Nell’autunno 1816 Giulio si trasferì con la moglie in Lombardia, rinvigorendo i rapporti con gli intellettuali milanesi. Compì vari soggiorni a Sant’Angelo in Lizzola, ove si rifugiò dall’afa estiva e per timore dell’epidemia di tifo che stava dilagando a Pesaro, lavorando assiduamente a L’apologia di Dante Alighieri.  Tornata per breve tempo in città nel 1818, la coppia si trasferì a Roma, ma prima di partire Perticari dette in locazione le proprietà che aveva a Pesaro e a Sant’Angelo. 

 

Nell’Urbe, ove avvenne la sua affiliazione alla carboneria, fondò il periodico Giornale araldico di scienze, lettere e arti ed ebbe le prime avvisaglie della sua lunga malattia al fegato, che fu sottovalutata dai medici.

 

Deperito dal cancro e turbato dal pericolo di ritorsioni, per aver partecipato a congreghe di carbonari durante il suo soggiorno romano, si trasferì presso il cugino Francesco Cassi a San Costanzo, dove morì il 26 giugno 1822, con grave danno economico per la moglie, che venne ingiustamente accusata di veneficio.

 

La residenza di campagna dei Perticari, distrutta durante l’ultima guerra, era nel comune di Monteciccardo, anche se ai confini con quello di Sant’Angelo, in cui i coniugi ospitavano, come nella loro nobile dimora pesarese, situata in corso XI Settembre, un cospicuo gruppo di intellettuali. Con la buona stagione il conte Giulio e Costanza s’intrattenevano con i loro ospiti anche nel bosco di proprietà della famiglia, che è sulla cima della collina dietro alla loro villa, facendo musica, letture ad alta voce, oppure recitando a soggetto e, talvolta, coinvolgendo nelle pièce anche la comunità di Sant’Angelo, poiché secondo Giulio, il teatro poteva essere un modo per istruire il popolo.

 

I Perticari erano imparentati con la nobile dinastia Cassi, con Giacomo Leopardi, con la famiglia Mosca e inoltre Gioacchino Rossini era spesso loro ospite a Pesaro e anche a Sant’Angelo.

 

Il conte Giulio ebbe un ruolo importante nell’educazione culturale del giovane Terenzio Mamiani e fu legato da una profonda amicizia con suo fratello Giuseppe: entrambi appartenenti all’élite dell’intellighenzia pesarese.

 

I conti Perticari, i cui eredi risiedono tuttora a Sant’Angelo in Lizzola, furono però in contrasto con Gianfrancesco Mamiani, padre di Terenzio e Giuseppe. Nel 1808, Giulio si fece portavoce di una causa che contrappose la comunità di Sant’Angelo e il suo signore, appartenente ad una nobiltà più blasonata e antica, per il preteso pagamento delle tasse di vassallaggio, anche da parte dei non possidenti.

 

Con altri esponenti della sua insigne famiglia, fu parte attiva non solo nella vita sociale e culturale, ma anche amministrativa e politica di Sant’Angelo in Lizzola, ricoprendo alte cariche nell’amministrazione pubblica della comunità.

 

Francesco Cassi scrisse un epigramma satirico, in merito all’allestimento dell’Aristodemo, opera di Vincenzo Monti, all’interno del mulino da olio che i Perticari possedevano nell’attuale via Roma a Sant’Angelo. Nel 1851 il conte Gordiano fece demolire il frantoio, per sostituirlo con un sontuoso teatro, che dedicò alla memoria del fratello Giulio, andato purtroppo distrutto durante i bombardamenti del secondo conflitto mondiale.